MAGRITTE E LA SURREALTÀ.

“Il lume filosofico” 1936, olio su tela
50 x 66 cm, Collezione privata, 


“Detesto la rassegnazione, la pazienza l’eroismo di professione e tutti i bei sentimenti obbligatori. Detesto inoltre le arti decorative, il folklore, la pubblicità, la voce degli speakers, l’aereodinamica, i boyscout, l’odore di nafta, l’attualità e la gente ubriaca. Amo l’umore sovversivo, le lentiggini, le ginocchia, i lunghi capelli delle donne, il risveglio dei bambini in libertà, una giovane donna che corre per la strada. Mi piacerebbe vivere l’amore l’impossibile e le chimere. Ho paura di sapere perfettamente i miei limiti”.
René Magritte è un artista belga nato nel 1898.
È uno dei maggiori esponenti del surrealismo. È una corrente che nasce a Parigi nel 1924 e coinvolge tutte le discipline artistiche e visive. La caratteristica principale è quella di prendere la realtà e le sue caratteristiche e trasformarle. Nasce così la surrealtà: una forma di realtà superiore, immaginifica, che stravolge le regole canoniche, dove l’assurdo diventa visibile e chiaro.
In Magritte vi è quindi la consapevolezza di sovvertire la realtà e, filtrandola attraverso i propri occhi, renderla nuova dando vita e significato nuovi a persone e oggetti.
Dichiara a tal proposito:

“Parlando della mia pittura, si fa spesso un cattivo uso della parola sogno. Se si può parlare di sogni, si tratta di sogni molto diversi da quelli che si fanno mentre si dorme. Sono sogni assolutamente volontari, che non hanno nulla di vago come i sentimenti che si provano evadendo nel sonno”.
“Golconda”, 1953, Houston Menil Collection. 
Si dice che da piccolino, avesse l’abitudine di esplorare con una sua amica i sotterranei di un cimitero. Queste stradine sbucavano in una sorta di giardino nascosto dove sovente vi era un pittore che dipingeva en plein air.
Magritte decide in quel momento di voler diventare egli stesso un pittore: le mani del pittore sono magiche perché riescono a trasformare meravigliosamente la realtà che vede.
Gli oggetti che spesso troviamo ritratti nelle opere di Magritte fanno riferimento alla sua infanzia: palloni, mongolfiere, scacchi…
Dal punto di vista di resa pittorica e di tecnica pura non è stato un innovatore. La sua tecnica e la stesura del colore sono quasi grafiche. In effetti Magritte non nasce pittore, ma cartellonista e creatore di immagini pubblicitarie (avrebbe di sicuro fatto meglio di quello che ha creato la campagna del fertility day della Lorenzin!!!!).
È un assiduo frequentatore del cinema ed è morbosamente affascinato da tutto ciò che riesce a trasformare la realtà portandola ad un livello di immaginazione altro.
Un evento traumatico che ha segnato profondamente l’animo e la pittura di Magritte fu la morte della madre.
Venne ritrovata infatti annegata in un fiume con una camicia avvolta attorno al capo: elemento che dal 1912 ritroviamo in alcune delle sue più famose opere.
“Gli amanti” 1928, olio su tela, 54 x 73 cm, MoMa, New York.
“Storia Centrale”, 1928, olio su tela. 
L’opera di Magritte spinge lo spettatore ad andare oltre a ciò che l’occhio umano percepisce. Esiste una realtà diversa da quella apparente, nascosta, profonda alla quale l’uomo saggio deve tendere per avere la vera conoscenza.
A proposito de “La Grande guerra” (opera del 1964, olio su tela, 65 x 54, collezione privata) dice:

“…abbiamo la faccia apparente, la mela, che nasconde ciò che è visibile ma nascosto, il volto della persona. E’ qualcosa che accade in continuazione…C’è un interesse in ciò che è nascosto e che il visibile non ci mostra. Questo interesse può assumere le forme di un sentimento decisamente intenso, una sorta di conflitto, direi, tra il visibile nascosto e il visibile apparente”
“La grande guerra”, 1964, olio su tela, 65 x 54, collezione privata, 
Altro soggetto ricorrente delle opere di Magritte è senz’altro la sua amata Georgette.
Qui la vediamo in “La magia nera” che permette di trasformare la carne della donna in cielo:
“La magia nera”, 1963. 
Ne “Il controllo in Bianco” si vede una cavallerizza che va a cavallo in un bosco. Magritte “spiega” la sua visione così:
“Le cose visibili possono essere invisibili. Se qualcuno va a cavallo in un bosco, prima lo si vede, poi no, ma si sa che c’è. Nella Firma i bianco, la cavallerizza nasconde gli alberi e gli alberi la nascondono a loro volta. Tuttavia il nostro pensiero comprende tutti e due, il visibile e l’invisibile. E io utilizzo la pittura per rendere visibile il pensiero”
“Il controllo in bianco”, 1965, olio su tela, 81 x 65, Washington
National Gallery of art. 
Concludo il post con altre due opere che ritengo eccezionali, “La condizione umana II” e “I valori personali”:
“La condizione umana II” 1935, olio su tela, 100 x 81 cm,
Ginevra, Collezione Simon Spierer.
“I valori personali”, 1952, olio su tela, 80 x 100 cm.
San Francisco, Museum of modern art. 
Grazie per avermi letto, alla prossima. RB.

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