IL MITO DI APOLLO E DAFNE

In questo post parleremo del mito di Apollo e Dafne, la cui storia ci viene raccontata da Ovidio nelle Metamorfosi.

La storia, a grandi linee, è questa:

Apollo si vanta di esser riuscito a sconfiggere il gigantesco serpente Pitone in giovane età, solo tramite arco e freccia. Cupido, re indiscusso di arco e frecce, si sente oltraggiato e beffeggiato da Apollo. 

Allora trama la sua vendetta. 

Si ritira e crea due frecce magiche: una appuntita e fatta di oro, l’altra stondata e fatta di piombo. Apollo viene colpito dalla prima, Dafne dalla seconda.
Apollo è pervaso da irrefrenabile passione verso la ragazza e inizia a cercarla dappertutto. Quando la trova non riesce a staccarsene.

La ragazza, invece, sarà destinata a scappare sempre da Apollo e a rifiutare il suo amore. 

Stremata da questa continua lotta, la bellissima fanciulla invoca l’aiuto della madre Gea.

La donna, allora, per salvare la figlia la trasforma in una pianta di alloro.
‘Dafne’ infatti, dal greco, vuol dire proprio alloro.
Il mito ha ispirato moltissimi artisti fino al 1900.
Ricordiamo la celeberrima opera di Gian Lorenzo Bernini “Apollo e Dafne”:

Realizzata nel 1621-1623, è di marmo, alta 243 cm e si trova a Roma, Galleria Borghese. Venne commissionata dal Cardinale Scipione Borghese.
Giovanni Battista Tiepolo ne realizza diverse versioni:

Una del 1745, olio su tela, 96 x 79, si trova al museo Louvre a Parigi:

E una intitolata “Apollo insegue Dafne” del 1755/60:

Theodore Chasseriau nel 1845 (anche questa opera è al Louvre):
Nel 1625, Nicolas Poussin:

Olio su tela, 131 x 97, Alte Pinakothek, Monaco.
La versione di Giuseppe Bartolomeo Chiari si trova invece a Roma, Galleria Spada. Olio su tela, 100.8 x 146, realizzata nel 1695.
La mia preferita è quella di John Williams Waterhouse del 1908, olio su tela, 112 x 145, collezione privata.
L’alloro verrà da sempre usato come pianta ornamentale di dei e imperatori (viene usato anche oggi per incoronare i laureati).


Scrive Ovidio: “Apollo l’ama, e abbraccia la pianta come se fosse il corpo della ninfa; ne bacia i rami, ma l’albero sembra ribellarsi a quei baci. Allora il dio deluso così le dice: “poiché tu non puoi essere mia sposa, sarai almeno l’albero mio: di te sempre, o lauro, saranno ornati i miei capelli, la mia cetra, la mia faretra“.

Il significato di questo mito, la “morale” che voleva insegnare, era quella di non rincorrere la bellezza a tutti i costi considerandola come unico valore tralasciando le virtù. Quante volte ci è capitato, anche nella vita di tutti i giorni?!
 “Chi amando insegue le gioie della bellezza fugace, riempie la mano di fronde e coglie bacche amare”.

Grazie per avermi letto!

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Alla prossima, RB.

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